Fabbisogno nazionale e debito pubblico: facciamo chiarezza

Giuseppe Montuori * 18 Maggio 2023
Fabbisogno nazionale e debito pubblico: facciamo chiarezza

In quest’ultimo periodo, man mano che gli effetti della Pandemia causati dal Coronavirus cominciano a diradarsi sempre di più, si inizia a parlare nuovamente dell’annoso problema che attanaglia diversi Paesi del vecchio Continente ma, in modo particolare, la nostra Nazione. Vediamo di analizzare almeno nei punti più salienti cos’è e cosa rappresenta per l’Italia il “debito pubblico”.

Il debito pubblico altro non è che il debito contratto dallo Stato per far fronte al fabbisogno nazionale. In sostanza, tutte le risorse necessarie al buon funzionamento della macchina statale, quali gli investimenti mirati al miglioramento della competitività, all’accrescimento dello sviluppo, all’aumento della sicurezza, all’ampliamento dei servizi in genere.

Ma proviamo a dare una spiegazione più semplice possibile dell’argomento in trattazione. Come abbiamo detto il debito pubblico è quello che uno Stato contrae con dei soggetti economici nazionali o stranieri facendosi prestare dei soldi per poter finanziare la propria attività in senso lato. Quindi, per pagare la costruzione di nuove strade, ponti, scuole, pagare le pensioni, affrontare le spese per la sanità, pagare gli stipendi dei dipendenti statali, ecc. Questi soggetti che prestano il denaro allo Stato possono essere, ad esempio, soggetti privati, un grande gruppo bancario/assicurativo, un’impresa, un altro Paese ecc. I quali, naturalmente, non prestano i loro soldi senza un tornaconto, al contrario essi chiedono degli interessi sulla somma prestata. Più questa somma è alta, più interessi lo Stato è chiamato a pagare, ad esempio: se ti presto 100, tu alla scadenza mi restituirai 110.

Di contro, la differenza tra entrate e uscite di uno Stato è detta saldo primario. Nell'operazione di calcolo non vanno trascurati gli interessi sul debito precedente che lo Stato è tenuto a pagare ai suoi creditori. Si ha un deficit quando le uscite (interessi compresi), superano le entrate. Possiamo altresì definire il debito pubblico come l’accumulo, anno dopo anno, dei deficit

Il peso degli interessi

Un Paese ottiene credito tramite l'emissione di nuove obbligazioni, che variano tra loro per caratteristiche e durata. Gli strumenti più utilizzati sono i Btp (Buoni poliennali del Tesoro - sono quelli a scadenza più lunga), Cct (Certificati di credito del Tesoro - sono obbligazioni della durata di medio termine), Bot (Buoni ordinari del Tesoro - sono titoli di Stato di breve termine) e Ctz (certificati del Tesoro zero coupon - sono titoli obbligazionari privi di cedola a tasso fisso di durata pari o inferiore a 24 mesi).  Come detto, la differenza tra saldo primario e deficit ci fa capire quanto pesi la spesa per interessi, in particolare sul nostro Paese. L’Italia da anni produce un “avanzo primario” (le entrate sono maggior delle uscite), ma resta in deficit e continua ad alimentare il debito pubblico perché continua a dover rimborsare i creditori, con interessi sempre maggiori. Se il saldo primario può essere controllato – tra le altre cose – contraendo la spesa pubblica, la spesa per interessi dipende anche da fattori esterni e/o inaspettati, che influiscono sui tassi d’interesse.      

Il debito pubblico italiano oggi

Lo scorso mese di settembre, il debito pubblico italiano è arrivato a 2.439 miliardi di euro, ma ad agosto aveva toccato il record di 2.463 miliardi.  Per meglio comprendere quanto il debito pubblico pesi su un Paese si prende in rapporto al prodotto interno lordo (quantità di beni e servizi prodotti da uno Stato in un determinato periodo di tempo o, più semplicemente, la ricchezza che un Paese è in grado di produrre nell’arco temporale di un anno). Alla fine del 2018, il debito pubblico italiano era pari al 134,8% del Pil, una delle percentuali più alte al mondo. Per mera notizia, appare opportuno ribadire che il primo concetto di PIL, più simile a quello attuale è stato formulato da Adam Smith - ritenuto il fondatore dell’economia politica - nella sua opera più celebre “La Ricchezza delle Nazioni”, scritta tra il 1767 e il 1773 a Kirkcaldy (Scozia).

 

Chi detiene il debito pubblico

Spesso si discute sulla sostenibilità del nostro debito pubblico e sui parametri utilizzati per la sua valutazione. Tra questi si cita soventemente la ricchezza privata (che in Italia è una delle più alte) e la distribuzione del debito. Tendenzialmente, infatti, potrebbe essere più rischioso che sia a disposizione di privati e operatori esteri. Secondo molti operatori del settore, circa un terzo del debito pubblico nazionale è in mani estere. Anche se la quota è sicuramente più bassa se si considera che include istituzioni europee e società italiane esterovestite (società che simulano di essere residenti all'estero per non essere assoggettata al regime fiscale italiano, sicuramente più oneroso rispetto ad altri Stati europei). La percentuale è minoritaria ma è enorme se si guarda al 4% del 1988. Quindi è pur vero che (secondo i dati dell’ultimo trimestre), il nostro Paese con un rapporto Debito/Pil pari al 152,6%, è secondo solamente alla Grecia con un valore pari al 189,3%, seguono il Portogallo fermo al 127%, la Spagna al 117% ed infine la Francia con un rapporto Debito/Pil al 114,4%. Di contro, l’Italia è uno dei Paesi con la percentuale di risparmio più alta rispetto agli altri Stati del vecchio continente, e questo mitiga almeno in parte gli effetti negativi del debito pubblico nei mercati internazionali.

 

L'andamento del debito pubblico italiano

parametri di Maastricht  (requisiti economici e finanziari che gli Stati dell'Unione europea devono soddisfare per l'ingresso nell'Unione economica e monetaria dell'Unione europea (UEM), prevedono che  uno Stato dovrebbe avere un rapporto debito/Pil inferiore al 60% o (come nel caso dell'Italia) dare segnali di riduzione (sempre in rapporto al prodotto interno lordo). Un debito eccessivo potrebbe portare un Paese a non rispettare i propri impegni, e quindi al default. La crescita del debito pubblico italiano ha coinciso con l’avvento del boom economico degli anni ‘60, impennandosi vertiginosamente negli anni '80. Dopo gli accordi di Maastricht e l'arrivo dell'euro, c'è stato un rallentamento nella crescita o per meglio dire un calo. Il debito però, sia per una contrazione del Pil sia per l'esigenza di maggiore spesa pubblica, tende ad aumentare in caso di stagnazione/recessione, ovvero nei periodi di crisi, sia essa finanziaria come quella del 2008 che pandemica, come quella appena lasciata alle spalle, per poi appiattirsi (ancorché lievemente) nei periodi successivi.

Gli esperti di Buy Shares evidenziano che più alto è il rapporto debito/Pil di un Paese, maggiore diventa il suo rischio di insolvenza. Sebbene i governi si sforzino di ridurre il rapporto debito/Pil, questo può risultare difficile soprattutto durante periodi di recessione economica come l’impatto dell’epidemia causata dal Covid-19.

In questi periodi turbolenti i governi di solito aumentano l’indebitamento nel tentativo di stimolare la crescita e aumentare la domanda aggregata (è la spesa in consumi e investimenti da parte delle famiglie, delle imprese e del settore pubblico). Sempre secondo Buy Shares, volendo fare un parallelo con altri Paesi del mondo, diversa è la situazione del Giappone, perché pur avendo un elevato debito pubblico, è maggiormente gestibile poiché è principalmente detenuto dai suoi cittadini. Al contrario, Paesi come la Grecia ad esempio, devono i loro debiti principalmente ai creditori stranieri, Germania in primis. Quindi a differenza di altri Stati, il Giappone ha un rischio di insolvenza più basso rispetto alla Grecia. Ecco perché, il Paese del sol levante è ancora in una situazione di equilibrio perché può mantenere i tassi di interesse a livelli molto contenuti in modo che gli stessi non gravino eccessivamente sul debito pubblico.

In conclusione, è attuale la discussione politica verificatisi a fine aprile nel nostro Paese, tra la maggioranza in carica e le forze di opposizione, sindacati compresi, i quali, avrebbero voluto maggior coraggio negli investimenti delle risorse a favore della collettività, soprattutto per le fasce più deboli ma, purtroppo, a causa della impossibilità di un ulteriore aggravio sul nostro debito pubblico, gli investimenti messi in atto, sono stati di entità minore. Ad onor del vero, non si può pretendere un maggior impiego di danaro pubblico per poi non votare in Parlamento la risoluzione sullo scostamento di bilancio, possibile previa autorizzazione delle camere adottata a maggioranza assoluta. Maggioranza fatta mancare proprio da chi invocava un maggior ricorso all’indebitamento. Del resto, quando la coperta è corta, se la tiri da una parte si scopre dall’altra.

* (Dottore in Scienze della Pubblica Amministrazione)

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