23 maggio 2025 – 33° anniversario della strage di Capaci
Giuseppe Montuori * 9 Maggio 2025
Venerdì 23 maggio 2025, ricorre il 33° anniversario della strage di Capaci (PA), in cui il dr. Giovanni Falcone e la sua consorte Francesca Morvillo (entrambi magistrati), unitamente agli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro trovarono la morte in un vile attentato di mafia. In questa particolare data ricorre la "Giornata della Legalità", nel ricordo di tutti coloro che hanno perso la vita per mano della mafia, credendo negli ideali della giustizia (libertà, rispetto, onestà). Mancavano pochi minuti alle ore 18 del 23 maggio 1992, quando una potente carica di esplosivo sistemata sotto un cunicolo dell’autostrada Palermo/Trapani, fece saltare in aria le auto in cui viaggiavano il giudice, la moglie e gli agenti. Pochi giorni prima dell’attentato furono eseguite diverse prove da parte degli attentatori e, per meglio identificare il punto preciso in cui azionare il pulsante del radiocomando, fu sistemato un frigorifero e dei segni di vernice rossa, furono tagliati dei rami d’albero che ostruivano la visuale sull’autostrada, programmando tutto, senza lasciare nulla al caso.
Questa strage presenta un duplice aspetto, il primo è quello di aver avuto un grande effetto sulla collettività, il secondo è quello di spingere (a distanza di anni), le persone ad una particolare attenzione e impegno nella lotta alla criminalità, diffondendo il messaggio della legalità a partire dalle aule scolastiche, luogo per antonomasia in cui avviene la contaminazione dei principi cardini di una pacifica e prolifica convivenza sociale, come tutti sanno, la scuola, con i suoi innumerevoli eventi/iniziative, oggi, forse più che mai, svolge una funzione essenziale nella divulgazione della cultura del rispetto delle leggi. Ed era proprio questo che i mafiosi non avrebbero voluto, molto verosimilmente il loro intento, come è sempre stato, era quello di intimorire le persone, spingendole verso una sorta di silenzio e accettazione dei loro metodi. Purtroppo per loro, così non è stato, al contrario si è verificata all’interno di ognuno un’esplosione di legalità, una voglia di costruire e lasciare alle generazioni che verranno una società migliore e scevra dal virus dell’illegalità. Personalmente ho avuto l’onore ed il piacere di lavorare col Dott. Giovanni Falcone, Palermo, infatti, è stata la prima destinazione del mio percorso professionale e, di questa persona eccezionale, oltre che intelligente, pacata, fedele e straordinario servitore dello Stato, serbo dentro di me un ricordo indelebile che neanche il tempo riuscirà a scalfire.
Ricordo una sua famosa frase rivolta ad alcuni di noi (giovani e freschi di studi, pieni di entusiasmo ma poveri di esperienza sul campo) “… a queste persone, i mafiosi, gli dobbiamo togliere il terreno da sotto ai piedi…”, il terreno, erano le grandi disponibilità finanziarie su cui potevano contare che, permetteva loro di non farsi scrupoli, corrompere chiunque si trovasse sulla loro strada, finanziare l’acquisto di grandi partite di stupefacenti, investire nell’edilizia, come ad esempio la cementificazione del capoluogo siciliano avvenuta tra gli anni ’50 e ’60, in cui compare anche il nome di un altro corleonese doc, vale a dire l’ex sindaco di Palermo, Vito Alfio Ciancimino che, nel 1992, fu condannato definitivamente a otto anni di reclusione per associazione mafiosa e corruzione. Altra frase famosa del Dr. Falcone era: “segui i soldi, troverai la mafia”. A tal uopo, nei primi anni ’80, fu varata una legge che segnerà la storia nella lotta alla mafia, con l’obiettivo principale di ricercare i capitali di provenienza illegale. Erano gli anni in cui grazie alla legge nr. 646, del 13 settembre 1982, nota come legge "Rognoni/La Torre", fu introdotto nella nostra legislazione penale il reato di “associazione di tipo mafioso” (art. 416 bis) e la conseguente previsione di misure patrimoniali per combattere l’illecita provenienza di danaro, scoperti grazie alle innumerevoli indagini bancarie, elemento di novità questo per le inchieste di mafia .
Quest’ultima è stata la legge che ha certificato ufficialmente l’esistenza della mafia. Ebbe così inizio una lunga battaglia contro quello che una volta era chiamato “segreto bancario”, ricordo che furono analizzati migliaia di estratti conti bancari, entrando nei meandri delle più importanti movimentazioni finanziarie, molte delle quali presentavano intrecci internazionali. Questa norma consentiva, tra l’altro, l’estensione degli accertamenti bancari, anche a coloro che nell’ultimo quinquennio, avevano convissuto con l’indagato per reati di mafia. Un profondo conoscitore dei sistemi mafiosi/camorristici, il Dott. Catello Maresca, eccellente Magistrato partenopeo, al quale va tutta la nostra stima per la straordinarietà dei risultati conseguiti, ha recentemente pubblicato un libro, nel quale ha definito il Magistrato palermitano “IL GENIO, il migliore di tutti”. Per l’autore del libro, Giovanni Falcone, è stato “IL MAGISTRATO per eccellenza, un uomo profondamente solo”, lo conferma il fatto che per la sostituzione del capo dell’Ufficio Istruzione (Dr. Antonino Caponnetto), il CSM, con motivazioni risibili, gli preferì il consigliere Antonino Meli (Paolo Borsellino), la cui competenza in materia, a detta di tanti non era paragonabile a quella di Giovanni Falcone, lo stesso A.Caponnetto, che aveva lasciato l’incarico confidando proprio nella successione di Falcone, non ha mai nascosto la sua forte amarezza per questa decisione. Quando nel 1996 il noto giornalista (Rai) Gianni Minà, in una trasmissione televisiva chiese al Dott. Caponnetto, chi avesse distrutto il pool antimafia Meli o Giammanco, la risposta fu: “…ognuno ha fatto la sua parte. Meli ha contribuito ad esautorare Giovanni Falcone, emarginandolo, non accogliendo alcune delle sue istanze, vanificò tutto il lavoro precedente…”. Anche per l’ex capo dell’Ufficio istruzione, il suo naturale successore, per prestigio, competenza e quant’altro, era Giovanni Falcone che dal giorno della sua mancata nomina cominciò a morire, oramai sempre più isolato ed oggetto di una violenta campagna di delegittimazione, da parte di certi organi di stampa e, non solo.
A tal uopo, in un articolo su Repubblica del gennaio 1992, Falcone fu definito “un guitto televisivo del sabato sera…. preso da una febbre di presenzialismo…. da una vanità, d’una spinta a descriversi, a celebrarsi”, articolo poi fatto sparire dal sito internet del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari. Anche l’ex sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, accusò Falcone di “.. tenere le carte nei cassetti…”, affermando inoltre che “…il sospetto è l’anticamera della verità..”. Di questa accusa infamante Falcone dovette discolparsi nelle aule del CSM, cosa che lo amareggio molto, egli stesso affermò che contro di lui era in atto un linciaggio morale e come risposta a Orlando, ebbe a dire: "la cultura del sospetto era l’anticamera del Komeinismo”. In una trasmissione Rai del gennaio ‘93, Maria Falcone, sorella del magistrato, affermò che l’ex primo cittadino di Palermo mise in atto una vera e propria campagna denigratoria nei confronti del fratello, facendo carriera attraverso il sistema giudiziario. Più avanti, precisamente nel 2008, in una intervista al più importante quotidiano nazionale, l’ex Presidente della Repubblica - Francesca Cossiga - dirà che all’uscita del Consiglio Superiore della Magistratura, Falcone andò da lui e, piangendo, gli rivelò di voler andar via.... Pure Leonardo Sciascia in un articolo sul Corriere della sera, del gennaio ‘87 “I professionisti dell’antimafia”, non fu affatto tenero con Falcone, Borsellino, il pool.. e, per questo, fu duramente criticato da molti, ivi compreso la commissione antimafia di Palermo che lo definì “uno quaquaraquà”, lo stesso autore di “Gomorra”, in un programma televisivo su Rai3, disse che le parole di Sciascia erano “da macchina del fango”.
Per tutta la sinistra che lo ha massacrato, oggi, è “l’amico Giovanni”, quando però egli era vivo, quando aveva bisogno di sostegno, perché “si muore generalmente perché si è soli”, sul giudice antimafia c’è stata una sorta di tiro al bersaglio (Il Giornale). Per fortuna qualcuno che lo stimava c’era, “Falcone era un mito e una delle cose di cui vado più fiero è la solidarietà che il quotidiano “La Stampa”, gli manifestò prima della morte, diversamente da tanti altri che lo rivalutarono solo dopo l’attentato (Paolo Mieli). L’unica colpa (si fa per dire) che qualcuno ha addossato a Falcone è stata quella di essere un Magistrato tutto d’un pezzo che non si faceva attrarre dai teoremi tanto cari a qualcuno, per lui, per arrestare una persona, occorrevano elementi incontestabili che sostenevano a pieno titolo la sua colpevolezza. Oramai Giovanni Falcone era visto dalla mafia come una continua minaccia, in grado di sgretolare il principio cardine su cui poggiava, “l’omerta”, Totò Riina, vedeva la figura dei pentiti come un pugnale nel fianco e, grazie al maxiprocesso, Falcone era riuscito a far condannare molti personaggi di spicco dell’ ”onorabile società” ma, soprattutto il più potente, pericoloso e crudele mafioso di sempre, il capo dei capi, il corleonese Salvatore Riina (detto Totò), vedeva compromessa la sua autorità, proprio a causa dei pentiti. Infine una citazione per due raffinati e coraggiosi investigatori, i commissari Beppe Montana e Ninni Cassarà che insieme all’agente Antiochia, ahimè non videro i risultati dei loro sforzi, perché anch’essi, furono oggetto di ignobili attentati di mafia. Alcuni giorni prima della morte, Montana aveva confidato ad un amico di essere stato abbandonato al suo destino, lasciato solo anche in Questura. A distanza di poco tempo, sarà la volta di Cassarà e Antiochia, probabilmente qualcuno avverte i loro quindici massacratori, forse una talpa interna alla polizia, Cassarà, più di una volta, aveva già avuto dei sospetti in merito.
* (Dottore in Scienze della Pubblica Amministrazione)

