Il colera a Napoli nel 1973

Giuseppe Montuori * 1 Novembre 2023
Il colera a Napoli nel 1973

In questi giorni sono stati ricordati i drammatici giorni vissuti dalla popolazione residente nei vari territori della provincia partenopea, per una epidemia da colera che per quasi un mese costituirà una vera e propria emergenza sanitaria.  Il tutto ebbe inizio un martedì di fine agosto del 1973, quando, all’ospedale Maresca di Torre del Greco (NA), due donne persero la vita, a causa di una infezione da colera.

Quantunque il contagio non fosse paragonabile a quello causato dall’ultima pandemia da Covid-19, si registrarono infatti numeri bassi di decessi, tuttavia il timore del contagio comunque attanagliava l’intero popolo. Per la sua peculiarità, era ovvio che in prima linea ci fosse il nosocomio per eccellenza delle malattie infettive, vale a dire l’ospedale Domenico Cotugno (dal nome dall’omonimo medico chirurgo), ubicato nel quartiere Chiaiano di Napoli.

I malati ricoverati, furono quasi un migliaio e, in quei giorni, il napoletano Giovanni Leone, 6° Presidente della Repubblica italiana, fece visita all’intero reparto, portando una parola di conforto ma, soprattutto la vicinanza delle istituzioni ai convalescenti e ai propri familiari presenti sul posto.

Fu questo un gesto carico di significato, non dimentichiamo, infatti, che in quel periodo la notizia suscitò un vasto eco anche all’estero, per cui il napoletano che oltrepassava le sponde del Garigliano (fiume che nasce sui Monti Simbruini e sfocia nel golfo di Gaeta), non sempre veniva visto di buon occhio, forse era forte il timore di essere contagiati, quindi bene fece il Presidente Leone a manifestare la propria solidarietà ad un intero popolo. Come molti sanno, l’epidemia anche se contrastata dal vaccino ebbe ripercussioni politiche, economiche e urbanistiche a Napoli e nell’intera Campania.

Naturalmente, come succede in questi casi, si cerca di venire a capo della matassa, scoprendo in primis quale fosse stata la causa scatenante dell’infezione, secundis, trovare la cura/vaccino adatto a debellarla. Il primo sospetto dei medici, sin dall’inizio si indirizzò sulla consumazione di Mytilus galloprovincialis (comunemente detta cozza o mitilo) crude. Per circoscrivere l’epidemia, si optò per una campagna vaccinale, infatti sin dall’inizio di settembre, nei diversi luoghi all’uopo destinati, la gente in fila aspettava il proprio turno.

Purtroppo però, come spesso succede in casi del genere, sopiti o quantomeno affievoliti gli effetti del colera, grazie all’effetto dei vaccini e al grande impegno dei medici napoletani e, a tal proposito, è bene ricordare che, per l’occasione, vennero vaccinati circa un milione di persone, a fronte di 277 casi accertati di cui, purtroppo in 24 persero la vita. Dicevamo che, nonostante la buona riuscita del vaccino nel contrastare l’epidemia da colera, come spesso accade, le polemiche non mancarono, né tantomeno le ripercussioni politiche, economiche e sociali. 

Ad onor del vero vanno precisate alcune cose. Ebbene, l’origine dell’epidemia all’epoca venne molto frettolosamente addebitata alle cozze, sia quelle illegalmente importate dalla Tunisia, Paese dove già alcuni mesi prima - maggio 1973 - il colera aveva fatto la sua comparsa e, anche in quel caso la cozza diviene l’untrice principale. Quindi anche da noi, agli inizi del mese di settembre iniziò la cosiddetta battaglia del mitilo.

Un gran numero di poliziotti, finanzieri, carabinieri, ecc. venne impiegato per la distruzione degli allevamenti di cozze (autorizzati e non), situati nelle immediate adiacenze della costa cittadina, naturalmente era immaginabile la reazione e le proteste dei tanti lavoratori ivi impegnati. Ad ogni modo, per molti, il consumo di questi frutti di mare (crudi), fu una concausa ma non la causa principale del diffondersi del colera.

Infatti alvei fognari a cielo aperto, cumuli di immondizia per le strade, zone urbane caratterizzate da un alto indice di sovraffollamento e promiscuità, in cui la nocività dell’ambiente si mescolava alla nocività dell’attività produttiva, “bassi, sottoscala, abitazioni buie e umide del centro storico erano i reparti di una fabbrica diffusa ma nascosta, ma erano anche i luoghi dove si permaneva e si lavorava senza nessun controllo e alcuna garanzia”. (Il Mulino

Tutto ciò era sfuggito alla politica del territorio e, naturalmente, diviene terreno fertile per le tante polemiche che ne scaturirono, con il solito balzello delle colpe, quasi sempre a discapito della collettività e soprattutto dei più vulnerabili.


* (Dottore in Scienze della Pubblica Amministrazione) 

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