Il salario minimo al centro del dibattito politico e sociale

Giuseppe Montuori * 6 Settembre 2023
Il salario minimo al centro del dibattito politico e sociale

Il salario minimo, in quest’ultimo periodo, è al centro delle discussioni della politica nostrana, già funzionante in diversi Paesi dell’Eurozona, in particolare, in 22 Nazioni su 27, considerato che da gennaio di quest’anno, anche Cipro, si è unito alla famiglia dei favorevoli.

In quest’isola, la soglia minima delle retribuzioni non può essere inferiore a 940 euro al mese, così come in altri 13 Stati, che hanno una soglia minima di reddito inferiore ai mille euro. Cerchiamo di capire meglio in cosa consiste il salario minimo e come funziona laddove già esiste.

Ad ogni modo, e bene premettere che, il fatto che già sia in vigore in altre Nazioni, non significa nulla e non deve essere una scusa per dire “ce l’hanno gli altri quindi, adottiamolo anche noi”.

Non è questo un buon motivo per prenderlo in considerazione. Occorre fare un discorso di opportunità e, non certo ideologico, come spesso si usa fare. Tuttavia, oltre all’Italia, le altre Nazioni dell’Ue sprovviste di salario minimo, sono Danimarca, Austria, Finlandia e Svezia. Vale la pena premettere che l'indicazione di un minimo legale è prevista per gli Stati membri da una direttiva UE, la 2041/2022, del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 ottobre 2022, relativa a salari minimi adeguati nell’Unione europea che prevede quest'obbligo, a meno che la contrattazione collettiva non copra almeno l'80% dei lavoratori.

Ed è questo il caso dell'Italia, che può scegliere se adottare o meno un minimo legale. In effetti la direttiva non obbliga l’introduzione di un minimo salariale e non impone un livello da rispettare ma, si concentra, sulla governance del salario minimo, in particolare per rafforzare il coinvolgimento delle parti sociali, sul monitoraggio e raccolta dati e sull’applicazione dei minimi salariali. In sintesi monitorare la situazione lavorativa dei dipendenti, perseguendo eventuali abusi. Le Nazioni europee avranno tempo fino al 15 novembre 2024 per recepirla.  Entrando più nello specifico, possiamo definire il salario minimo, come la retribuzione minima oraria che per legge deve essere garantita a lavoratori/lavoratrici, sotto la quale non è possibile scendere.

Nella nostra Penisola, il compenso sotto il quale non è possibile scendere è stabilito dai CCNL (Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro - è un tipo di contratto di lavoro stipulato a livello nazionale tra le varie organizzazioni sindacali, ognuna  rappresentante dei propri lavoratori e imprenditori), ma una proposta di legge avanzata dalle opposizioni (finalmente d’accordo), vorrebbe introdurre la soglia minima oraria di 9 euro lordi all’ora, più o meno 7 euro netti, pari a circa 1.300 euro al mese (netti), comunque al di sopra della soglia di povertà lavorativa che l’ISTAT ha stabilito per l’anno 2022, per un importo pari a 11.155 euro.

Altra proposta avanzata è quella di sussidiare con contributi pubblici quelle imprese che non riescono ad adeguarsi al nuovo trattamento minimo, proposta quest’ultima non condivisa da tutti che, probabilmente, metterebbe in luce una classe imprenditoriale incapace di operare in totale trasparenza, senza sotterfugi vari. 

La direttiva approvata in via definitiva dal Consiglio Europeo (con 505 voti favorevoli, 92 contrari e 44 astensioni), non prevede un sistema uniforme per tutti i Paesi membri, né impone l’introduzione di un salario minimo.

Tutto ciò, infatti, rimane di competenza delle singole Nazioni, le quali però, dovranno garantire ai lavoratori dei compensi che permettano loro di vivere dignitosamente, che tengano conto dell’aumento del costo della vita (soprattutto a seguito delle due calamità -pandemia e guerra-), così come ha sottolineato la correlatrice del testo, Agnes Jongerius (Gruppo di Alleanza Progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento Europeo - NL).

Ad ogni modo, per favorire il recepimento di tale obiettivo, la direttiva, obbliga altresì gli Stati Ue a realizzare un idoneo sistema in grado di monitorare e controllare mediante apposite ispezioni sui luoghi di lavoro, eventuali abusi, lavoro nero, straordinari effettuati ma non registrati ecc., eseguire quindi una effettiva attività di deterrenza contro qualsiasi irregolarità sui luoghi di lavoro.

In Lussemburgo, ad esempio, esiste un salario sociale minimo (SSM) che viene pagato dal titolare dell’impresa, naturalmente lo stesso varia sia in relazione al grado di esperienza e qualifica, nonché dell’’età del lavoratore.

Il salario minimo sociale è composto da due livelli: un salario minimo per i lavoratori sprovvisti di qualifica e salario minimo per coloro i quali sono muniti di apposita qualifica/specializzazione.

In questo Paese, a far data dal 1° aprile 2023, a seguito di un ulteriore aumento dell’indice salariale, il compenso minimo mensile non può essere inferiore 2.408,24 euro per un lavoratore senza qualifica, di età superiore ai 18 anni che lavora per 40 ore a settimana. Tuttavia, è giusto precisare che in Lussemburgo, gli stipendi, in generale, sono superiori ai nostri.

In una recente intervista, il ministro per i rapporti con il Parlamento (Luca Ciriani), in merito al problema degli stipendi bassi, ha tenuto a precisare che, “quest’ultimi, sono stati ereditati proprio dalla sinistra che ha governato nell’ultimo decennio e che oggi tuona contro la maggioranza in carica. L’attuale governo sta intervenendo sul taglio del cuneo fiscale proprio per appesantire il portafogli dei lavoratori dipendenti e consentire loro una maggiore serenità familiare e, l’incontro del presidente Meloni con le opposizioni, proprio sul salario minimo, dimostra che per la maggioranza il confronto è importante, ma dialogare non vuol dire fare quello che vorrebbe fare la sinistra e che non ha fatto quando era al governo”.

In conclusione, al lavoratore (in generale), interessa avere un salario maggiore e, poco interessa, se attraverso il salario minimo garantito, piuttosto che con il taglio del cuneo fiscale, l’importante è avere una busta paga più dignitosa.

Forse la politica questo ancora non lo ha recepito, ancorché, chi ha la minoranza al Parlamento, non può pretendere di dettare l’agenda di governo a chi ha la maggioranza (usando una metafora calcistica), sarebbe una invasione di campo che, molto verosimilmente, gli elettori non gradirebbero e non capirebbero.


* Dottore in Scienze della Pubblica Amministrazione

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