Letter to you: il ritorno del Boss

Franco Simeri 25 Ottobre 2020
Letter to you: il ritorno del Boss

Il Boss scrive ai suoi fedelissimi. “Sono nel mezzo di una conversazione che dura da 45 anni”, lo annuncia così nel documentario girato da Thom Zimny per accompagnare l’uscita del suo ventesimo album, “Letter To You”.

Una conversazione che questa volta chiama in causa direttamente il suo pubblico: “È il mio primo disco in cui il soggetto è la musica stessa” afferma. Non è solo una raccolta di canzoni, ma la celebrazione di un’intera carriera: chiaramente, ancora una volta insieme alla E Street Band.

Sarà stato il desiderio di fare un regalo al suo popolo che Bruce Springsteen, stavolta, ha deciso di essere semplicemente se stesso. Invece di provare sfuggire alla formula che l’ha portato al successo (come ha fatto da “Born In The U.S.A.” in poi), si è deciso ad abbracciarla in pieno.

È proprio questa la forza di “Letter To You”: solo lui e la E Street Band, orgogliosamente fuori tempo e fieri di essere sé stessi. Niente provini, niente sovraincisioni, tutto registrato insieme dal vivo in cinque giorni.

Assieme riproducono il muro di suono che hanno costruito negli anni ’70, un sound fatto di grandi assoli di sax, migliaia di chitarre.

"Letter to you" è il disco più personale e intimo della sua carriera, registrato a 71 anni d’età, nel quale sembra trovare un senso a tutte le maschere che ha indossato, dialoga con i fantasmi degli amici e dice: “Sono rimasto solo io”.

A suggellare l’indole passatista dell’album, la scaletta ci riporta nel primissimo repertorio springsteeniano: mentre selezionava i nastri degli archivi, Bruce ha pensato bene di dare una veste compiuta a tre dei suoi leggendari demo di inizio anni Settanta.

Scelta azzeccata, perché la rivisitazione asciutta e vigorosa di “Janey Needs A Shooter” ha un piglio che varrebbe già da solo tutto il disco. Ma anche “Song To Orphans”, irrobustita da un richiamo a Bob Dylan (armonica compresa), non fa rimpiangere l’originale, mentre “If I Was The Priest” ha un’andatura carica di epica western.

Tratta di mortalità in "Last Man Standing", una canzone con immagini sbiadite di “quando eri giovane, forte e orgoglioso, quando correvi puro e forte” che parla dei posti in cui Springsteen ha suonato nel Jersey.

Il disco si chiude con "I’ll See You in My Dreams", un folk ritmato nelle cui parole “la morte non è la fine” si sente ancora una volta l’eco di Dylan.

In "House of a Thousand Guitars" fa un sermone sul potere lenitivo del rock: “Qui i maledetti e gli annoiati vegliano in cerca dell’accordo perduto che ci unirà tutti insieme… nella casa delle mille chitarre”.

In "The Power of Prayer" canta le lodi di Ben E. King e di "This Magic Moment" dei Drifters come se le sue preghiere avessero trovato risposta.

Poi c’è "Ghosts", probabilmente l’omelia più potente dell’album, in cui dice di ascoltare “il suono della chitarra che arriva da un luogo mistico”. Il brano è un crescendo in cui racconta il rituale del concerto per poi esplodere e cantare insieme alla E Street Band.

Gli unici momenti in cui Bruce Springsteen esce fuori da sé è quando prende a cazzotti, metaforicamente, Donald Trump. In "Rainmaker" descrive un demagogo che inganna i contadini dicendo che riuscirà a vincere la siccità. Il messaggio è vestito con una melodia perfetta da cantare in coro allo stadio. Dice di averla scritta prima che Trump vincesse le elezioni, ma non a caso esce adesso. In "House of a Thousand Guitars", già citata in precedenza, c’è il “clown criminale che ha rubato il trono e cerca qualcosa che non potrà mai avere”, altro chiaro riferimento al clown criminale che occupa la Casa Bianca.

"Letter to You" è un disco personale. È cosa insolita che una delle voci più celebri del rock faccia un bilancio in tempo reale di quello che ritiene importante: la famiglia, l’arte, la politica, il passato, la religione, la vita.

Qui Springsteen sembra finalmente avere trovato la pace e si capisce che la rabbia, la depressione provata nei momenti difficili, i conflitti fra le sue personalità l’hanno portato finalmente alla stabilità.

Le parti più affascinanti di "Letter to You" sono quelle in cui non si nasconde e ammette che è proprio così, che lo sa anche lui. Gran parte della sua musica parla di come imparare a convivere con le sconfitte che i suoi personaggi non riescono a evitare. In questo disco, Springsteen fa lo stesso con le sue.

Tracklist:

One Minute You’re Here – 2:57

Letter to You – 4:55

Burnin Train – 4:03

Janey Needs a Shooter – 6:49

Last Man Standing – 4:05

The Power of Prayer – 3:36

House of a Thousand Guitars – 4:30

Rainmaker – 4:56

If I Was the Priest – 6:50

Ghosts – 5:54

Song for Orphans – 6:13 I’ll See You in My Dreams – 3:29

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