Napule nunn'è

Rachele Gatti 12 Aprile 2024
Napule nunn'è

Una città, quella di Napoli, che negli ultimi anni ha scoperto un vero e proprio boom di visite. Se da una parte ha aiutato il settore turistico, dall’altra sta man mano cambiando il suo volto, rendendola ai cittadini napoletani sempre meno vivibile.

Esiste ancora la città di Napoli? Ineguagliabile per le sue caratteristiche morfologiche, culturali e sociali, che solo grazie alla sua forza vulcanica e sanguigna cerca di non farsi globalizzare in questo mondo uniforme, costituito da multinazionali e social network, di conservare la sua identità.

Una identità conquistata con sacrificio e lotte, nei suoi vicoli. Napoli ha spalmato secoli di storia, di gente venuta da lontano, etnie e linguaggi diversi, che hanno creato la cultura partenopea, con i suoi colori e i suoi suoni. Tutto è una miscellanea di usi e tradizioni che hanno dato vita alla sua personalità.

Una città che ha mantenuto e ribadito negli anni il suo orgoglio. Come non citare le Quattro Giornate di Napoli del 1943, in cui il solo popolo riuscì a liberare la città dalle truppe tedesche durante la Seconda Guerra Mondiale?

Ma, all’epoca dell’intelligenza artificiale, è ancora così?

Se fino a qualche anno fa, passeggiando tra le sue strade e i suoi vicoli più stretti e remoti, era facile e scontato incontrare il “vero napoletano”, con la sua eleganza, la sua personalità, il suo dialetto e i suoi rituali, oggi su quegli stessi percorsi è un vero e proprio miraggio imbattersi in quella figura.

Sostituito da un turista, che ha come unico scopo quello è andare alla ricerca del grottesco, della messa in scena creata ‘ad hoc’, solo per entrare nel circolo vizioso del maggior numero di visualizzazione dei social, senza però interessarsi se c’è un fondo di verità in quello spettacolo talvolta denigrante per la stessa Napoli.

Anni e anni per scacciare luoghi comuni – il famoso trio “mare, pizza e mandolino” – la città di Partenope ha scoperto di recente una vera e propria rinascita per far emergere la propria ricchezza culturale, il proprio patrimonio gastronomico, facendo ammirare le sue bellezze naturalistiche, esorcizzando la paura di farsi rubare il portafoglio, o il rolex, per poi ricadere su nuovi e subdoli cliché, come la pagliacciata.

La stessa via Toledo, una volta ricca nel suo fascino di botteghe, negozi e piccoli bar gestiti da napoletani, oggi è diventata una qualsiasi via di una qualsiasi città europea, condita da catene di brand internazionali e fast food.

Ormai il centro storico è vivibile solo per i turisti, contemplando degli affitti ormai impossibili da gestire, lamentando al tempo stesso la mancanza di servizi essenziali come tintorie, alimentari, negozi di frutta e verdura.

Napoli – triste ammetterlo – sta scacciando la sua gente. I quartieri si stanno snaturando, perdendo la loro autenticità e diventando un “turistificio” di massa, un “mordi e fuggi” da fine settimana o, addirittura, da una sola giornata.

Sgomitando tra le persone che corrono verso qualcosa visto sui social – un murales, una nuova pizzeria – ma che non hanno tempo di fermarsi ed alzare il naso all’insù per ammirare i palazzi nobiliari, respirare quel buon profumo di sfogliatella calda appena sfornata, perché tra una spinta e l’altra, la magia che solo Napoli può regalare è già volata via, veloce proprio come il turista “mordi e fuggi” che ha avuto la sua foto ricordo da portare a casa.

Ma è solo questa Napoli? È diventata semplicemente una città mangiatoia? Eppure sappiamo della sua ricchezza, sappiamo della generosità del suo popolo, sappiamo della sua bellezza, troppo spesso trascurata ed offuscata da un’incuria che ne mortifica le bellezze naturalistiche e architettoniche.

Napoli è unica nel suo genere, ma si preferisce dare spazio a quello che ormai offrono tutte le città: quei tre/quattro piatti che vanno per la maggiore con il passaparola, quei tre/quattro luoghi comuni, pubblicizzando quei tre/quattro siti museali per far vedere che qui c’è anche cultura.

Ma, in tutto ciò, dov’è Napoli e dove sono i suoi cittadini? Si sta per caso diventando come la città di Venezia? Un luogo invidiato da tutto il mondo, ma che ormai non è più dei veneziani, ma semplicemente alla mercè di chi si illude di averlo visitato, magari spendendo poco o nulla.

È questo ciò che vogliamo? Non sarebbe bello ritornare a passeggiare verso il lungomare senza fretta, assaporare quei sapori veri che in realtà si stanno perdendo e dare tempo e spazio alla città di respirare, dandole la possibilità di svelare il suo ricco patrimonio?

Questo sovraffollamento sta veramente arricchendo la città partenopea o la sta spingendo al limite della deriva sociale? Come si può affrontare questa sfida nel rendere vivibile una città complessa come Napoli?

Bisogna forse seguire gli esempi di altre città che, prima di Napoli, hanno affrontato queste problematiche. Dal “numero chiuso” di turisti, per dare margine e spazio ai cittadini e alla stessa città, al potenziamento dei mezzi green e pubblici, come tram o fermate metropolitane in superficie, fino a considerare delle speciali agevolazioni per riqualificare le botteghe storiche di Napoli.

E non finisce qui. È altresì utile lavorare su un impatto visivo migliore del verde pubblico, nella cura del verde di parchi e giardini, senza dimenticare la sistemazione di strade ad accesso pedonale.

Un modo per dire, a noi stessi anzitutto: “Ricordiamoci di essere Napoletani e di aver costruito nei secoli una Cultura che appartiene solo al nostro Popolo e, per questo, di non svenderla a poco prezzo”.

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