Spaccapietre, riflettori accesi sul caporalato

Franco Simeri 4 Ottobre 2020
Spaccapietre, riflettori accesi sul caporalato

In una Puglia di oggi, ma che sembra fissata nel passato, Giuseppe e Angela sono una coppia sposata che cresce il piccolo Antò. Giuseppe non può più riprendere il lavoro nella cava dopo un incidente all'occhio ed è Angela a doverlo cercare nei campi, in condizioni impossibili che finiscono per farle perdere la vita.

Padre e figlio rimangono soli, con il piccolo Antò che non si rassegna alla perdita della madre e Giuseppe che deve dare un nuovo senso al suo essere padre. Il tutto spostandosi da un posto all'altro, intrappolati all'interno dello stesso sistema di lavoro illegale e inumano che ha portato via Angela.

Il film mostra un inferno a cielo aperto, lo sfruttamento totale di italiani immigrati e minori, la mancanza di rispetto per la vita umana, di chi usa tutti allo stesso modo. La morte di un bracciante è solo "un buco da coprire" e un corpo in una fossa, come racconta Rosa, amica di Angela, costretta anche lei da un lutto a trovare riposo, come gli altri, in tuguri fatiscenti, mentre i padroni si godono le ville con piscina.

Gianluca e Massimiliano De Serio ci mostrano un "documento umano", mettendo in luce le cause che spingono questa gente a sopravvivere in un ambiente così duro e frutto di tradizioni sociali, cercando di osservare le cose dal loro punto di vista.

Spaccapietre è un dramma neorealista, dove a parlare sono i silenzi e la fisicità, quella di Giuseppe, interpretato da Salvatore Esposito, che incute timore, come un gigante di pietra appunto, ma sa sciogliersi come neve al sole per il figlio, unica sua ragione di speranza. Un racconto duro come una pietra, crudo e senza fronzoli, da vedere.

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