Un artista, un'opera: MARIA ESPOSITO

P. Gerardo Santella 29 Maggio 2024
Un artista, un'opera: MARIA ESPOSITO

BIOGRAFIA

Maria Esposito nasce il 15 Gennaio 1978 a Nola. Dopo essersi laureata in Scienze dell'Educazione nel 2004 all' "Università degli Studi di Salerno" intraprende il lavoro di educatrice sociopedagogica prima a Napoli e successivamente nel territorio nolano per l’Ambito N.23.

Cultrice di arte, nel 2014 decide di mettersi alla prova nella pratica della pittura, ispirata da una mostra del suo Maestro d’Arte, Ernesto Santaniello, e comincia a dipingere in particolare paesaggi raffiguranti le bellezze della natura, dalla quale è continuamente ispirata, omaggiando anche importanti artisti come Botero, Rabarama, Magritte.

La pittura, secondo Maria, è la condizione per alimentare la vita di colori che, miscelati con passione e determinazione, danno vita alla parte migliore dell'artista. L’artista predilige la tecnica dell'acrilico su tela.

Nel 2018 fonda l'Associazione socio-culturale Vola, il cui acronimo è “Volare oltre le aspettative” e decide che i proventi della vendita delle sue opere saranno devoluti al sostegno di progetti aventi protagoniste le fasce deboli.

Ad oggi Maria ha realizzato circa ottanta opere, gran parte delle quali hanno partecipato a mostre nell'agro Nolano ricevendo anche menzioni speciali.

L’opera "Il coraggio delle emozioni" è la copertina di un libro che tratta la violenza sulle donne, “Un poeta a cielo aperto” è la copertina di “Assi sconnesse”.

L'Opera "Rispetto" è stata donata da Maria al Museo Civico "Luigi D'Avanzo" di Roccarainola in seguito a una proficua collaborazione.




L’OPERA: L’ INTRECCIO

L’intreccio è un’opera sul piano stilistico basata sulla figura retorica della sineddoche, vale a dire che è fatta tutta di particolari che rappresentano una parte di un tutto, non visibile, cui essi rinviano per poter immaginare una figura, un oggetto, una situazione, una condizione psichica. Dettagli da focalizzare con attenzione, facendo scorrere l’occhio da uno all’ altro, da intrecciare con un filo logico ideale per ricomporre un insieme organico e coerente. Nel caso di quest’opera, poi, l’artista indirizza il nostro sguardo proprio sui particolari illuminati da una vivida luce che li fa risaltare su un fondo oscuro che sembra assorbire anche il soggetto rappresentato.

In primo piano, vista di profilo, la figura di una donna, la cui tarda età è rilevata dalla matassa di capelli bianchi, appena attraversata da rade e sottili striature del colore di un tempo ormai perduto. Non ne vediamo però il volto, che non rientra nello spazio circoscritto dell’inquadratura ed è in parte ricoperto anche dai lunghi capelli che coprono il lato sinistro della guancia. Ancora, le due vere all’anulare della mano sinistra ci dicono che si tratta di una donna vedova, forse sola, e l’orecchino al lobo dell’orecchio ci appare come un segno distintivo di continuità e decoro del suo corpo soggetto alle modifiche corrosive del logorio del tempo.

Non una donna particolare, dunque, tanto più che non c’è alcun elemento, datoci dall’artista, che possa identificarla, ma una donna qualsiasi, come tutte le altre, còlta, nell’inverno della sua vita, in un gesto quotidiano, l’intreccio dei lunghi capelli, sciolti di sera prima di andare a letto, per essere riannodati in una crocchia dietro il capo: una operazione lenta, paziente, rituale, una sorta di rinascita per essere pronta per il nuovo giorno della vita.

Si noti il movimento delle mani con le dita variamente articolate, infilate nei capelli, e tese a stringere, separare, sbrogliare, avvolgere: gesti sapienti, precisi di un’arte abituale, con cui alla fine dell’operazione si ricompone una parte del proprio corpo e la donna restituisce a sé stesa la grazia e l’armonia delle fattezze femminili.

Una pratica che è da tempo venuta meno, ma che ancora sopravviveva al tramonto della civiltà contadina. L’osservazione, concedetemi questo riferimento personale, mi ha riportato alla mia prima infanzia, quando mi soffermavo ad assistere, con un sentimento misto di curiosità e meraviglia, a questo rito quotidiano di mia nonna.

Ecco, quel volto che non si vede è quello che ogni osservatore può immaginare, tirando su dal sottoscala della memoria una esperienza vissuta, una traccia impressa nella psiche, una immagine sbiadita, un racconto del passato, un fantasma materializzatosi nella mente.

E, infine, rivendicando i miei diritti di fruitore libero di dare una propria lettura dell’opera, tenderei ad attribuire al soggetto anche un significato meta-pittorico, una riflessione sullo stesso lavoro dell’artista.

È azzardato dire che l’elaborazione di un’opera è in qualche modo analoga all’azione dell’acconciatura di capelli di una “vecchia” donna? Stesso impegno, stessa sapienza, stessa padronanza degli stessi strumenti utilizzati (le mani), realizzazione di un prodotto finale in cui fili sparsi, aggrovigliati, rinfusi (siano essi quelli esterni del corpo o i sentimenti interiori della psiche) si dipanano in una costruzione equilibrata e armonica? Il risultato è lo stesso: l’espressione della BELLEZZA.

ULTIMI ARTICOLI