I SENTIERI DELLA MEMORIA: quell'incredibile '68

Luigi De Luca 31 Luglio 2022
I SENTIERI DELLA MEMORIA: 
quell'incredibile '68

«Se non fossimo capaci di ravvivarla con qualcosa di personale, la storia rimarrebbe sempre più o meno astratta, piena di scontri di forze anonime e di schemi»

È con le parole del poeta polacco Czelaw Milosz che il prof. P.G. Santella ci avvia alla lettura di uno dei suoi tanti volumi, come quello che segue su “Quell’incredibile ’68. Personaggi, eventi e miti di un anno che ha cambiato il mondo”.



Un libro-memoria, edito dalla Michelangelo 1915, che secondo l’autore ha un unico punto di vista: quello soggettivo. L’obiettivo? Abbastanza fattibile ed intrigante: «far conoscere ai giovani di oggi il mondo dei loro coetanei di cinquanta anni fa, che rivendicarono per sé, attraverso la lotta generalmente non violenta, il diritto ad essere artefici del loro destino e a costruirsi un futuro che non fosse quello programmato dai padri ed eterodiretto dagli interessi di istituzioni governi industria banche finanza».
 
Ed è subito maggio, accompagnati dalle note folk di De André, con cui sfogliando le pagine si assiste ad un entusiasmante e storico piano-sequenza sugli avvenimenti più importanti di quella famosa stagione rivoluzionaria dall’inconfondibile eco:
 
1963, Blowin’in the wind e The times they are changing di Bob Dylan, con la dolce e determinata Joan Baetz, eroina dei diritti civili e creatrice di un inno, We shall overcome, diventato il simbolo delle successive manifestazioni pacifiste. Nello stesso anno, davanti al Lincoln Memorial, prende voce  il sogno universale del memorabile Martin Luther King, poi brutalmente assassinato nell’aprile del ’68.



1964, il filosofo tedesco Herbert Marcuse scrive uno dei suoi testi più famosi dal titolo L’uomo ad una dimensione, concettualizzando la “liberazione dell’eros” come liberazione sessuale e creativa dell’uomo. In California, intanto, Mario Savio, presso il campus di Berkley, pronuncia uno storico discorso, Il funzionamento della fabbrica, nel quale denuncia la pressante passività di stampo capitalistico imposta all’intero ingranaggio culturale, privo ormai di qualsiasi libertà.  

 
1967, Cassius Clay (poi Muhammad Alì) viene condannato a 5 anni di carcere e privato del titolo mondiale nonché della licenza di pugile per essersi rifiutato di prendere parte alla guerra in Vietnam. Nello stesso anno, dopo la liberazione di Cuba attuata insieme a Fidel Castro, Che Guevara rinuncia ad ogni potere e muore ucciso in ottobre dello stesso anno, in Bolivia.  
 


1968, l’epifanica voce di Camillo Torres, sacerdote rivoluzionario, ribalta la fierezza ieratica del “cristianesimo imperiale”, giungendo a teorizzare la radicale Teologia della Liberazione evidenziando quei valori già fortemente proposti dal Vangelo e già coraggiosamente trasmessi dalla figura storica di Gesù Cristo. E in Italia, la famosa regola delle “tre emme” (mestiere, moglie, macchina) di una società bigotta e borghese, trova l’opposizione decisa dei giovani “figli non di papà” che, capelloni e non, preferiscono dirsi “orfani” di un sistema patriarcale e consumistico.


 
E c’era un ragazzo che… come l’allora ventenne P.G. Santella vede dipanarsi davanti a sé l’onda prima del ’68 per poi ritrovarsela nei successivi anni settanta.

E quindi: la Battaglia di Valle Giulia, le uova e i cachi marci all’apertura della stagione lirica della “Scala” di Milano contro chi faceva sfoggio del lusso imperante; il movimento femminista come “angeli del ciclostile”; la classe operaria che non va in Paradiso; il libretto rosso di Mao Tse Tung; la tradizione beat di Jack Hirschman; Zio Ho e il suo diario dal carcere; Rudy il rosso a Berlino, Amburgo e Norimberga; le otto torce umane nella calda primavera di Praga; i pugni neri di Tommy Smith, Peter Normane Jhon Carlos; la strage di Piazza Fontana e la morte accidentale di un anarchico di Dario Fo; la chiusura dei manicomi; i Datzebao e l’altalenante verità dei giornali.

 
Infine, i titoli di coda, con uno straordinario racconto, squisitamente personale, del ’68 vissuto dall’autore che negli ultimi bagliori del crepuscolo si accorge che «erano quasi passati quarant’anni ma avevamo conservato nel volto e negli occhi qualcosa di comune anche se indifendibile, che ci aveva fatto riconoscere tutti».
 
 
 
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