Un artista, un'opera: ANGELO BUONAIUTO

P. Gerardo Santella 5 Giugno 2024
Un artista, un'opera: ANGELO BUONAIUTO

BIOGRAFIA

Angelo Buonaiuto, nato a Palma Campania nel 1949, ha frequentato l’istituto tecnico-industriale “Alessandro Volta” a Napoli, diplomandosi nel 1969. Impiegatosi presso la “MEDITERRANEA-ICIOM-ESSO” come tecnico amministrativo e di laboratorio. Cultore di arte, negli anni si è dedicato, oltre al lavoro e alla famiglia, anche alla pittura. Autodidatta, privilegia uno stile tra naturalismo e impressionismo, manifestando particolare attenzione al paesaggio.

Le sue tavole, rappresentanti scorci di ambienti marini, costieri, boschivi, nature morte con predilezione per i fiori, disegnati con minuziosa cura dei dettagli, si prestano, al di là della loro espressione fisica, alla ricerca di un senso che vada al di là del dato puramente descrittivo. Cosa che si materializza quando sulla tela, anche per la presenza di colori lividi e cangianti, che costruiscono un’atmosfera sottilmente misteriosa, si avverte quel quid indefinito, come la presenza, ad esempio, di un elemento straniante, che delude lo sguardo dell’osservatore e nello stesso tempo gli sollecita una percezione di disagio, che è anche un viatico per un suo personale contributo alla “lettura” del dipinto, una sua personale risposta alle domande che esso pone.

 

Mostre personali:

“Terra, cielo, mare”, Circolo Vittorio Emanuele, Palma Campania,1989 e 1998.

“Sensi del paesaggio”, Sede Auditorium comunale, Palma Campania. 2003

“La natura tra bellezza e mistero”, Sede Associazione Naturae Palma Campania, 2018.




L’ OPERA: NATURA MORTA

Premettiamo che con l’espressione Natura morta in arte s’intende la rappresentazione di soggetti inanimati, in contrapposizione a quella con figure viventi. Questo particolare termine viene introdotto in Italia alla fine del XVIII secolo. Ma la pittura di frutta e ortaggi in particolare, e anche di oggetti in genere, era già presente in epoca medievale e dopo il Concilio di Trento del 1563 acquisì un nuovo valore simbolico, in quanto agli oggetti inanimati si attribuì un significato connotativo dovuto al loro potere evocativo. Un senso allegorico, diremmo, che oscilla tra due poli contrapposti: la provvisorietà e fragilità della condizione umana e la bellezza della vita come dono naturale da godere.

Ci piace portare due riferimenti. Da una parte Il Canestro di frutta di Caravaggio (1571-1610), una delle più celebri nature morte della storia dell’arte. Davanti ad uno sfondo monocromatico e bidimensionale, il pittore milanese rappresenta un canestro di vimini minuziosamente intrecciato, all’interno del quale, dipinti con minuzioso realismo, si trovano diversi tipi di frutta. Gli straordinari dettagli figurativi, la mela bacata, le gocce d’acqua sulle foglie e sugli acini d’uva sono illuminati da una fonte di luce avvolgente ed unificante.

Nella rappresentazione dell’acino d’uva marcio, delle foglie rinsecchite e piegate su sé stesse, Caravaggio vuole rammentare a colui che guarda la caducità delle cose terrene e, in generale, della vita stessa.

Al lato opposto, Achille Incerti (1907-1988), un artista dalla vita errabonda e inquieta, che dedica 103 tele alla Commedia di Dante. Per la rappresentazione del Paradiso disegna una serie di corone floreali di vario colore e grandezza, che danno vita a una esplosione di luci e colori. La più emblematica è un contenitore di corpi celesti appena nati, che formano quasi una siepe intorno a un oblò azzurro, dove si mostrano i frutti dolci, leggeri, delicati, colorati dell’offerta divina.

Non dissimili dai frutti che la natura ci offre e che possiamo raccogliere sopra le nostre tavole. Le opere di Dio, dunque, sono frutti dolcissimi imbanditi sulla tavola del cielo.

Nel dipinto di Buonaiuto, sullo sfondo di una parete azzurrognola, si stende un tovagliolo giallo, in parte stropicciato che ricopre in buona parte un tavolo ruvido, che lascia scoperto il lato di fronte all’osservatore. Vi sono collocati, variamente disposti da sinistra a destra, un bicchiere vuoto, una pera e due pesche, di cui una tagliata a metà, in primo piano, e un vassoio ripieno di due arance, una pera e due grappoli d’uva, uno bianco e l’altro nero, che, protendendosi con i loro grappoli fuori dal loro contenitore, suggeriscono abilmente il senso della profondità e nello stesso tempo danno l’impressione ottica di fuoriuscire dallo spazio del dipinto per offrirsi al fruitore.

Curiosamente uno spazio geometrico in cui si accampano figure di rettangoli, coni, sfere e cilindro.

La fisicità e i volumi degli “oggetti” si svelano attraverso grumi di diversi strati pittorici che conferiscono loro anche una evidenza plastica, che ne fanno nell’insieme una composizione serena e misurata, il fotogramma di una scena domestica all’interno di uno spazio scenico familiare.

Le vibrazioni di colore, rappresentate dai rossi e dai gialli, sono raffreddate dai toni azzurri, quelli più marcati dello sfondo e quelli più tenui del vassoio, cosa che però non determina una distinzione / separazione degli elementi della composizione, quanto una sintesi perché lo spazio è la rappresentazione globale dell’insieme degli oggetti.

Ma i colori di pere, pesche, arance non sono brillanti e accesi, e tendono a segnare i frutti di striature che ne mettono in rilievo la scorza rugosa e l’incipiente disfacimento, a sottolinearne la loro funzione di merce di consumo che deperisce in breve tempo.

Si potrebbe dire che l’artista non vuole attribuire al dipinto un particolare valore allegorico né voglia trasmettere un particolare sentimento o suggerire una riflessione esistenziale. Più semplicemente la sua è la rappresentazione di una visione, come abbiamo detto, familiare, dell’atmosfera serena di uno spazio protettivo, fatto di affetti sinceri e di condivisione sentimentale.

Del resto cosa più di un frutto, di un dono della natura, di un alimento succoso e gioioso

può richiamare una comunione di legami, voleri, affetti?

 

P.S. Una curiosità. L’autore tiene esposto questo dipinto su una parete della cucina, su un ripiano della quale c’è un vero vassoio pieno di frutta. Un ammiccamento tra realtà e artificio, che è proprio del raffinato gioco dell’arte.

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