Un artista, un'opera: PRISCO DE VIVO

P. Gerardo Santella 24 Aprile 2024
Un artista, un'opera: PRISCO DE VIVO

LA BIOGRAFIA

Prisco De Vivo, nato a San Giuseppe Vesuviano (NA) nel 1971, è pittore, scultore e poeta. Dal 1990 a oggi ha partecipato a varie attività culturali sul territorio nazionale e ha collaborato a diversi periodici e riviste di arte e letteratura. Dedicatosi alla pittura fin da giovanissimo, ha preso parte a numerose mostre personali e collettive in Italia e all’estero (Bruxelles, Lugano, Postdam). Le sue opere, conservate in luoghi pubblici (musei, chiese, palazzi storici) e collezioni private, hanno suscitato l’interesse di critici e studiosi esperti, che vi hanno dedicato recensioni, saggi e interviste. Per l’editrice Il Laboratorio ha pubblicato le raccolte di poesia Dell’amore, del sangue e del ricordo (2004) e i saggi L’oscuro fiore dell’arte (2006) e La radice delle cose (2023).

L’arte di Prisco, pur potendosi definire sul piano stilistico epressionistica per l’influenza di pittori quali Francis Bacon, ma anche di artiste esoteriche quali Carol Rama e Louise Bourgeois, non è catalogabile in una determinata corrente pittorica codificata.

La visione delle opere di Prisco disturba lo sguardo dell’osservatore, produce disagio, trasmette un sottile sentimento di inquietudine. La realtà umana che vi è rappresentata è come dissolta; di essa rimangono pezzi di carne in disfacimento che si ricompongono faticosamente e dolorosamente in un corpo. Ma le immagini umane sono sottoposte a graduali processi di sfocature, dissolvenze, deformazioni di prospettiva, tanto da non potersi identificare o rendersi conoscibili: volti cadenti e deformati, crani fracassati, occhi dolorosi o strabici o fasciati di bende, bocche chiuse da pezzi di materia informe o da cui fuoriescono esili e inquietanti bamboline, colli avvizziti, orecchie scarnite, particolari ingranditi o scomposti.

Volti e corpi sono collocati in una dimensione atemporale, uno spazio asfittico, percorso da una luce fredda senza alcuna vibrazione: l’unica realtà che palpita sotto tante consuete e svianti apparenze è il caos, il conflitto, la morte.

Mi sembra di avvertire – gli chiedo - una sottile e fascinosa attrazione verso il male, quasi che l’artista ne sia inconsapevolmente contagiato.

Si – risponde Prisco -, l’artista è in qualche modo affascinato dal Male. Per quanto mi riguarda, rappresentarlo espressivamente nell’arte è il modo di proiettarlo fuori di me ed esorcizzarlo.

Non una estetica del bello, dunque, ma un azzardo, una scommessa, un colpo di dadi nel quale si gioca l’incontro – scontro tra lo sguardo dell’artista e l’occhio dello spettatore e il loro rispettivi sistemi psico-nervosi.



L’Opera. Ritratto di Antonio Gramsci

Abbiamo scelto come esemplificazione di quanto sopra scritto il Ritratto di Antonio Gramsci, dedicato a uno dei maggiori pensatori del Novecento, politico, filosofo, giornalista, critico letterario, nato ad Ales nel 1891. Fondatore del Partito comunista, arrestato e incarcerato per il suo dissenso verso il regime fascista nel 1926, per le sue gravi condizioni di salute, dovute ai maltrattamenti subiti in prigione, ottenne la libertà condizionata nel 1934 e fu ricoverato in clinica a Roma dove trascorse gli ultimi anni di vita fino al 1937.

L’uomo politico sardo è raffigurato con la testa incorniciata da una folta capigliatura di colore rosso scuro (Il sangue del martirio? La passione politica? Il magma ribollente di un pensiero non facilmente ascrivibile a una ortodossia partitica? Tutte queste cose insieme?). Sugli occhi una benda nera, che richiama il mezzo con cui il regime fascista censurava e calpestava ogni manifestazione di dissenso ed espressione di pensiero libero.

Ma al di sopra della benda resiste una lente, anch’essa cerchiata di rosso, dei suoi inconfondibili occhialini tondi: un oggetto reale e metaforico nello stesso tempo, segno di una vista (l’occhio della mente) che non può essere cancellato, di una ragione lucida, di una capacità di leggere dentro la realtà del suo tempo. Il volto deformato, lo sguardo ricoperto, i segni neri e rossi che attraversano e incidono il suo corpo, quasi sangue che scorra dalle ferite, ci dicono anche della violenza subita dalla polizia di Mussolini, delle sue dolorose condizioni e dei maltrattamenti subiti nel carcere.

Ma il volto, pur ricoperto, non ci fa immaginare dolore, rassegnazione, disperazione, ci parla di un pensiero rigoroso, vitale; quel cerchio di colore azzurro che si leva dietro il suo capo e pare diffondersi nello spazio grigio sullo sfondo rinvia a una utopia ancora possibile, una speranza di salvezza dalla voragine dell’inferno quotidiano, una lotta contro il Male che si può vincere fuoriuscendo dal recinto dell’indifferenza e utilizzando le difficili armi della ragione e dell’intelligenza.

Una voce, quella di Gramsci, di un intellettuale che non si è piegato alla violenza di un potere sanguinario, che ha scelto di smascherare eroicamente ogni falsa apparenza e colpevole silenzio, ha testimoniato la verità e la dignità umana di fronte all’avvilente ossequio ai potenti.

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