Parole parole parole: PAROLA

Pasquale Gerardo Santella 28 Luglio 2020

In questa rubrica, che prende nome dal titolo di una famosa canzone di Mina, presentiamo ogni settimana una parola e ne scopriamo l’etimologia, la storia, il significato, le trasformazioni nel tempo e curiosità ad essa legate (il tutto in una quindicina di righe con la sola eccezione di questa prima volta).

Cominciamo, scusandoci con il bisticcio di parole, proprio dalla parola "PAROLA", che deriva dal tardo latino “parabola” (nel latino classico si diceva “verbum”). Infatti, originariamente, più che definire un termine preciso, “parola” indicava più genericamente un esempio, una similitudine, un racconto in senso lato. In tale significato è usata nel latino cristiano laddove nei vangeli Gesù, per diffondere la “buona novella” nel popolo dei fedeli, raccontava storie brevi, espresse in un linguaggio semplice e facilmente comprensibile.

Ricordate le famose parabole del “Figliuol prodigo” o della “Pecorella smarrita”?

La parola aveva dunque in questo caso la specifica funzione di comunicare un messaggio, di educare attraverso un racconto esemplare ad una pratica di vita “cristiana”.

Ma la parola con il tempo ha acquistato un grande potere, non si è limitata ad una funzione puramente informativa, ma ne ha svolte anche altre. Ha espresso idee, sentimenti, diletto, ma è stata anche adoperata come strumento di manipolazione e di persuasione attraverso il quale raggiungere uno scopo personale, ora lecito (le argomentazioni di un filosofo per affermare una sua teoria, l’arringa dell’avvocato finalizzata a difendere un suo cliente in una causa) ora immorale (il politico che maschera le parole coprendone il reale significato per ingannare il popolo) ora ambiguo (il pubblicitario che inventa slogan subliminali per convincere i consumatori della bontà di un determinato prodotto) ora è banalizzata, involgarita e ridotta a semplice emissione di suoni svuotati di senso (la maggior parte dei post insulsi dei social).

Chissà, forse, se conoscessimo meglio le parole che diciamo o scriviamo, potremmo capirci meglio e avere una maggiore reciproco rispetto gli uni degli “altri”. E soprattutto rispondere a chi vuole subdolamente ammannirci pacchetti di parole preconfezionate da scartocciare, ingoiare e digerire senza filtro, con le parole della canzone di Mina: “Caramelle non ne voglio più...”. P.S. Da settembre una parola alla settimana.

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