FOCUS ECONOMIA - I negozi di vicinato alle prese con la rivoluzione digitale del commercio

Diletta Iervolino 28 Dicembre 2020

Il 2021 già bussa alle porte e per le attività economiche occorrerà ancora del tempo per riuscire ad assorbire i duri colpi inferti – soprattutto alle piccole realtà – dalla pandemia da Coronavirus. Ogni ambito commerciale – in via diretta o indiretta – ha risentito (e continua a risentire) di questa situazione emergenziale che perdura ormai da quasi un anno, evidenziando non solo un calo di vendite e fatturato, ma anche una totale insicurezza per eventuali investimenti futuri.

Guardando al cosiddetto negozio di vicinato, questo si è scontrato con la necessità di ripensare il carattere del proprio lavoro, nella modalità di vendita e nel rapporto col cliente: come il settore ristorativo ha dovuto reinventarsi totalmente in funzione di asporto e consegne a domicilio (perdendo un aspetto fondamentale, ovvero il servizio in sala), anche tutti gli altri esercizi commerciali si sono imbattuti, non senza difficoltà, nelle vendite online.

In realtà, se volgiamo lo sguardo indietro rispetto alla pandemia, l’incombente cambiamento del lavoro verso il digitale si faceva già sentire, ma molti commercianti – forse più tradizionalisti o semplicemente affezionati alla classica modalità di lavoro – fingevano di non cogliere il messaggio. In effetti, il commercio elettronico con la Grande Distribuzione Organizzata (Amazon, AliBaba, Zalando, eBay – per citarne solo alcuni tra i più conosciuti e con maggior fatturato) ha visto la sua nascita già una ventina d’anni fa, con l’avvento di Internet e di una tecnologia sempre più matura tale da permettere le vendite online.

E se analizziamo l’evoluzione commerciale ancora precedente, la vendita al dettaglio dei negozi di vicinato aveva già subito uno scossone con la nascita di ipermercati e centri commerciali: lo sviluppo urbano in chiave moderna e in funzione di globalizzazione e consumo di massa ha portato alla graduale resa di molte piccole realtà commerciali.

Proprio alla sempre maggiore espansione del processo di globalizzazione era rivolta l’attenzione di Marc Augé, che nel 1992 creò il neologismo surmodernità riferendosi al neo sviluppo della società postmoderna, dal punto di vista sociale intellettuale economico e industriale. Secondo il filosofo francese, nella surmodernità si assiste alla proliferazione di non-luoghi: tutti quegli spazi – anonimi - dell’abbondanza e della provvisorietà (aeroporti, stazioni, centri commerciali), privi di identità e all’interno dei quali si diventa delle non-persone. Dove, pur incontrandosi, non si verifica una reale integrazione e condivisione. Di storia, di tradizione, di socialità.

Dunque, all’epoca, il centro commerciale ha rappresentato l’emblema del ‘non-luogo’ (anche se non sembra esser il caso delle nuove generazioni) e della scomparsa di tanti negozietti di quartiere: quelli che ognuno trovava sotto la propria casa, quelli che avevano tutto il necessario, quelli che tenevano pulito il proprio pezzetto di marciapiede.

Ed è proprio questa nuova forma di non-luogo, quello digitale, con la quale occorrerà interfacciarsi sempre più nel prossimo futuro, diversificando tecniche di vendita e strategie di penetrazione nel contesto di un mercato sempre più globale e sempre meno ‘della porta accanto’.

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