No alla violenza sulle Donne: trionfa il cortometraggio del palmese Cristiano Dello Iacono

Diletta Iervolino 29 Novembre 2021
No alla violenza sulle Donne: trionfa il cortometraggio del palmese Cristiano Dello Iacono

Il ventiseienne palmese Cristiano Dello Iacono è il vincitore del Premio Elvira Coda e del Premio del Pubblico al video contest “La 48h” con il suo lavoro intitolato “In the Blink of an Eye”. Promossa dal MAC Fest 2021 - un Festival di Musica Arte e Cultura che si tiene a Cava de’ Tirreni - la competizione prevedeva la presentazione di cortometraggi realizzati in sole 48 ore e fondati sul tema “Sguardo e Tatto”.

È stato il mio primo cortometraggio e non mi aspettavo di vincere, soprattutto avendo dovuto creare e girare in così poco tempo – confessa Cristiano – ma questo premio mi ha dato la spinta per dedicarmi seriamente alla scrittura di un nuovo corto.

Chi è Cristiano e di cosa si occupa nella vita?

Ho studiato ingegneria informatica, anche se ho deciso di non concludere il mio percorso di studi, per dedicarmi totalmente a quella che era la mia passione per foto e video. Seguendo il motto “Fa’ ciò che ami e non lavorerai nemmeno un giorno nella tua vita”, mi sono catapultato lavorativamente in questo campo, dedicandomi – da autodidatta - a fotografia video grafiche e siti web.

Qual è il tuo stile?

In realtà non ho uno stile riconosciuto, sono ancora in fase di sperimentazione, in ogni ambito visuale. Ho iniziato, per quanto riguarda foto e video, principalmente come paesaggista, poi attraversato la fase di ritrattista, mentre adesso sto passando maggiormente alla street photography: essendo un genere molto più introspettivo e profondo, lo sento più vicino al mio essere in questo momento. In pratica osservo le persone nelle loro scene di vita quotidiana, all’interno delle città, dunque in contesti di aree urbane.

Perché hai scelto di trattare la tematica della violenza sulle donne nel tuo corto?

Dovendo attenermi al tema “Sguardo e Tatto” e avendo solo 48 ore a disposizione per realizzare questo video di tre minuti, scrivere una storia di violenza su una donna è stata l’idea più potente che mi è venuta in mente, la strada più seria e di impatto.


Come mai, all’interno del più ampio discorso della violenza sulle donne, hai scelto di focalizzarti su una tipologia di abuso in particolare, ovvero quello sessuale? Al giorno d’oggi è molto più frequente sentir parlare di violenza domestica perpetrata da mariti o compagni e del cosiddetto femminicidio; invece tu hai deciso di mostrare un’altra piaga sociale e che, anche in questo caso, in percentuale vede principalmente le donne come vittime – o se vogliamo, sopravvissute – ossia lo stupro.

È ovvio che realizzare questo cortometraggio ha significato lanciare un messaggio importante, ovvero di condanna della violenza, qualsiasi violenza, sulle donne. Inoltre, alla fine del video ho scelto di inserire una chiara comunicazione: “Se sei vittima di violenza chiama il numero 1522”. Addentrandoci maggiormente nella realizzazione del corto, la selezione della tematica è in parte stata dettata anche dalla scenografia, avendo, fra le regole da seguire, quella di girare per le strade di Cava.

E per quale motivo hai dato un’ulteriore particolarità a questo breve racconto di violenza sessuale, inserendo come antagonista della storia, come aggressore della ragazza, un uomo di Chiesa?

Anche in questo caso la scelta è stata essenzialmente dettata da motivazioni tecniche, da necessità pratiche, perché volevo un prodotto esteticamente bello, dunque dalla ricerca di una location affascinante, pulita dal punto di vista cinematografico, che mi permettesse di ottenere più effetti e che fosse maggiormente efficiente nella produzione. Quindi la chiesa era uno dei luoghi più suggestivi che potessi scegliere. Forse a livello inconscio, ho voluto comunque lanciare un messaggio - adesso mi fai un attimo psicoanalizzare(!): io ho un legame particolare con la chiesa, non sono credente, quindi è probabile che abbia trovato in questo progetto un modo per dare spazio a riflessioni che magari non ho mai analizzato a fondo, per sbattere in faccia alla gente quello che succede anche nell’ambito ecclesiastico.

A cosa è dovuta la scelta del titolo “In the blink of an eye”? È una frase idiomatica inglese che vuol dire “in un batter d’occhio”: è legata solo al battito delle ciglia della protagonista in alcune delle scene o rimanda in qualche modo anche all’omonimo libro del famoso montatore statunitense Walter Murch? Pare che, in quest’opera, il vincitore di premi Oscar consigliasse ai futuri editors di non fossilizzarsi troppo sui tecnicismi del montaggio bensì dare priorità alle emozioni.

In effetti è un caso il legame con il libro di Murch. Pur non avendolo letto, però, posso dire di aver ugualmente messo in pratica il suo suggerimento: forse il fatto di non aver studiato, se non da autodidatta, mi ha aiutato a esser meno accademico e più istintivo. Tornando al titolo, in fase di scrittura abbiamo optato per questa frase idiomatica perché ci sembrava particolarmente coerente col modo in cui si stava evolvendo la storia, ma anche perché si trattava del titolo di una delle limitazioni imposte dal regolamento del contest, diversa per ogni partecipante. Quella affidata a me consisteva nel dover girare delle clip, delle scene inferiori a un tot di secondi e perciò nel video cambio spesso inquadratura, anche se devo ammettere che per me non ha rappresentato una condizione particolarmente difficile perché costituisce proprio il mio modo di girare. Così, durante le riprese, ho poi pensato di inserire anche il battito di ciglia della protagonista, mediante il quale rivive il ricordo di quanto è successo. Il tutto attraverso una serie di flashback, tecnica su cui è fondato l’intero corto.

A proposito di tecniche cinematografiche, varie e con differenti finalità sono state quelle utilizzate all’interno del cortometraggio, ma tutte insieme hanno contribuito a rendere superflua la necessità dei dialoghi. Considerate il mezzo principale per esprimere la dimensione di un personaggio, le parole nel tuo video sono totalmente assenti, lasciando spazio a primi piani e particolari. Come mai?

Ho scelto di non inserire l’espressione verbale per focalizzarmi al massimo sui due sensi - sguardo e tatto – che rimandavano alla tematica del contest, ma anche perché in un corto di tre minuti è difficile strutturare dei dialoghi. Dunque una valutazione funzionale ma anche artistica, scegliendo di concentrarmi sull’espressività dell’attrice.


Interessanti anche i dettagli: la bibbia, l’anello del prete, il soffitto della chiesa affrescato, hanno portato gradualmente a mettere insieme tutti i tasselli della storia.

Posso fare una domanda io a te? Tu l’avevi capito, prima di vedere l’anello finale, che si trattava del prete?

Devo confessare che, la prima volta, ho guardato il corto e fino alla fine non ho notato l’anello. Quel che mi ha fatto percepire che l’aggressore fosse il prete è stato il modo in cui nella scena finale ha alzato la bretella del vestito della ragazza: ho avvertito un senso di fastidio. L’evolversi della storia mi ha portato gradualmente a pensare che la ragazza si fosse rifugiata in chiesa per trovare conforto e che quindi il prete si fosse avvicinato a lei per consolarla. Poi il colpo di scena: il mignolo, la bretella, e il pensiero è andato a ritroso tra i flashback dando un senso a tutto.

In effetti quella di alzare la spallina è stata una scena non scritta, assolutamente improvvisata dal personaggio del prete. Si tratta di quelle scene che, pur estemporanee, diventano clou. Ciò sta a significare che ho avuto dei bravissimi attori, i quali si sono perfettamente immedesimati nella storia. Ha davvero funzionato come scena chiave!

Tra le tecniche utilizzate, il dettaglio è stata una di quelle più interessanti a mio parere. Per esempio, il focus sulle onde del vestito della statua in chiesa e il parallelo con le grinze della gonna della ragazza che veniva con violenza alzata dal suo aggressore.

Mi fa piacere che lo hai notato, non tutti lo hanno fatto. Anche questa è stata una scelta di necessità, finalizzata al collegamento di tutti i flashback, come pure il parallelo tra l’inquadrare Santa Rita che guarda in alto e la ragazza che fa lo stesso una volta a terra al termine della violenza.

A proposito di quest’ultimo parallelo, è stato uno dei dettagli che mi ha incuriosito di più. Perché proprio Santa Rita da Cascia? È considerata la Santa degli impossibili. Hai voluto evidenziare qualche collegamento con la situazione disperata della ragazza?

Devo ammettere che il tuo collegamento funziona molto, ma anche che non era assolutamente voluto. I tempi erano ridotti ed è stato tutto molto veloce e istintivo, e poi, non essendo a conoscenza della storia di questo personaggio religioso, la presenza di Santa Rita è stata una casualità, ma quell’inquadratura è servita ad applicare ulteriormente la tecnica del parallelo. Anche il momento in cui la ragazza si stringe il braccio è un parallelo ed è stato funzionale al collegamento delle due scene, quella del flashback e quella del presente.

Ultima domanda. Un po’ scomoda, ma spero possa mettere in luce uno degli stereotipi più diffusi quando si parla di stupro. In casi di violenza sessuale nei confronti di una donna, è spesso conseguenziale la critica a com’era vestita e a quanto “se la sia cercata”. L’abbigliamento dell’attrice è stato voluto? Cosa hai voluto trasmettere?

Non propriamente voluto ma dettato dalla necessità di evitare abbigliamenti troppo particolari, ho preferito un semplice vestitino nero che potesse aiutare a immaginare in maniera più forte il contatto con la pelle, sempre rifacendomi al senso del tatto da far prevalere. Però in realtà, pensando in maniera più approfondita alla mia scelta, non c’è un prima di quel vestito, non c’è un movente, mi rendo conto solo adesso di aver omesso il movente all’interno del corto. La protagonista ricorda quella scena, ma non vediamo il prima. L’ho omesso forse perché non è importante. Nel senso che la violenza è violenza e non c’è alcuna giustificazione o motivazione pregressa che valga. Magari qualcuno ha effettivamente notato il vestito e immaginato un “valevole” impulso a quell’aggressione; ma in questi casi, secondo me, la ragione è superflua rispetto alla violenza stessa perpetrata nei confronti di una donna. È inutile soffermarsi sul movente. È inutile soffermarsi sul vestito. Ma solo sulla violenza.

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