AMERICAN TRAVELS: LA RAGAZZA SICILIANA
P. Gerardo Santella 12 Novembre 2025
Al Filmforum del quartiere Soho a Manhattan si proietta The sicilian girl, con la presenza del regista Marco Amenta, che a fine proiezione dialoga con gli spettatori. Ci vado accompagnato da Autilia. Saletta di 128 posti, tutti occupati, pubblico in buona parte giovanile, interessato e partecipe, atmosfera da cineforum degli anni Settanta. Per me una immersione nel passato, mi sembra di ritrovarmi nella sala Zara del mio paese, quando il cinema era anche impegno politico. 
Il film racconta la storia vera di Rita Atria. Prima il padre, poi il fratello, piccoli boss locali, sono ammazzati. La ragazza, per vendicarli, decide di collaborare con la giustizia e porta i suoi diari, nei quali ha scritto tutto quello che succedeva nel suo paese, a Paolo Borsellino. Ma il magistrato viene ucciso e con lui muore anche la speranza di Rita. Rimasta sola e consapevole di essere stata abbandonata da un potere politico in connubio con quello malavitoso, si suicida gettandosi dal settimo piano della casa che gli era stata assegnata a Roma come protezione della sua collaborazione.
Segue il dibattito, che è vivace e tocca varie questioni, di contenuto e di forma, Si va avanti per circa un’ora.
«Un’ultima domanda», dice il conduttore. Alzo la mano. Si avvicina un addetto e mi porge il microfono.
«Pongo la domanda in italiano, poi traduci tu in inglese per gli spettatori», dico rivolto al regista. E proseguo: «Una settimana fa, il capo del governo italiano Silvio Berlusconi ha detto che in Italia si fanno troppi film sulla mafia. Quindi, se fosse qui presente, direbbe che questo tuo film è inutile. Cosa gli risponderesti?».
«La domanda dovrebbe essere posta al figlio di Berlusconi che, come proprietario della casa di produzione cinematografica Medusa, fa molti film sulla mafia, ricavandone un buon profitto».
Applausi convinti da parte del pubblico.
Una risposta chiara da un intellettuale non prostituito. Grazie, Marco.
SCACCO MATTO AL GREENWICH VILLAGE
A piedi per una lunga camminata per il Greenwich Village, dove le case sono allineate lungo strade strette e diagonali che contrastano con l’ordinata configurazione rettangolare di Manhattan.
Una geometria sghemba che ben corrisponde per analogia allo stile di vita di tanti artisti che da sempre abitano il quartiere.
Si parte da Washington Square, un teatro all’aperto dal vivo, dove si esibiscono acrobati, giocolieri, musicisti, prestigiatori, performer di strada, in un’atmosfera distesa e giocosa.
Poi, nel labirinto del West Village, nelle strade tra le case dove vivono poeti, scrittori, artisti, bohemien e dove si allineano negozi e locali curiosi, strani, alternativi.
FOTO 2010 A Thompson Street, a poca distanza uno dall’altro, due “Chess Forum”, locali in cui si vendono esclusivamente scacchiere di ogni forma e materiale e dove, all’interno o all’ esterno, su tavolini con due sedie poste sul marciapiede, puoi giocare a scacchi, senza farti distrare dal capannello di persone che stanno a guardare le mosse degli sfidanti sulla scacchiera. Mi soffermo anche io e mi accorgo subito che si tratta di giocatori esperti. E non penso proprio di ripetere l’esperienza al Juniper con Nicolau.
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